12.2
Pagati i debiti contratti verso le sette e le congregazioni che si sono prestate ad appoggiare la campagna elettorale, senza scrupoli né falsi pudori. In primo luogo verso la chiesa cattolica.
Leggi e regolamenti relativi alla famiglia, e a tutto ciò che possa rientrare sotto l’ambito morale e sessuale, preventivamente sottoposte al gradimento dei vertici vaticani se non, addirittura, proclamate leggi della repubblica italiana le proposte elaborate dalla stessa curia.
Di più, dentro la sfera dei principi hanno trovato posto elargizioni e concessioni di potere assai più materiali.
Nella scuola, ad esempio, in modi distinti e paralleli. Da un lato le curie vescovili hanno potuto nominare nella più totale libertà gli insegnanti di religione, a prescindere da titoli o qualifiche professionali. Scelti dal vescovo e pagati dallo stato acquisiscono, ipso facto, titoli validi per passare a insegnare qualsiasi altra materia alla faccia di quanti hanno seguito corsi di formazione e superato concorsi nel rispetto delle norme (valide per i gonzi). Dall’altro lato lo stato elargisce cospicui fondi a chi frequenta istituti privati, quasi tutti di proprietà ecclesiastica.
Che bella commistione tra fede e politica, eh? Era valsa la pena sostenere la campagna elettorale delle destre, caspiterina; le facce rilucenti e grondanti soddisfazione dei prelati ne sono la testimonianza più eloquente, anche se a parole si guardano bene dal confessarlo.
Ma non è finita qui. Il gran ciambellano del governo ha riconosciuto crediti speciali anche all’organizzazione degli industriali guidata dalla componente interna più bolsa e fracassona: lanciata anch’essa a sostenerlo quando era in fibrillazione per la battaglia. Il presidente ha ricambiato concedendo una secca riduzione delle imposte alle imprese, piena libertà di licenziamento e riduzione di fatto dei salari, nella stupida convinzione che ciò apportasse rigonfiamenti baldanzosi nelle tasche dei padroni.
Non pago di tanta solerzia, ha premiato singoli grandi elettori regalandogli per pochi spiccioli grandi aziende pubbliche, come la compagnia dei telefoni. Dulcis in fundo, ha garantito impunità a tutti gli scagnozzi che per assecondarlo e sgravarlo dalle azioni più a rischio si sono fatto carico, diciamo così, di quelle azioni basse e poco pulite che sempre accompagnano l’ascesa repentina di figuri troppo pieni di sé per ammettere di aver praticato scorrettezze.
Così l’opera di conquista del potere si avvia a completezza e chi se ne frega se il prezzo è mandare a catafascio la struttura civile e sociale dell’intera nazione.
Nelle pieghe di un simile processo storico le caste si rafforzano sempre più, a cominciare da quella politica. Si rinchiudono su loro stesse determinando una cappa pesante sulla società. Non si può più entrare in politica senza la benedizione dei politici già al potere, non si può fare ricerca se non cooptati dai vecchi ricercatori, né dirigere una impresa se non si fa già parte della combriccola.
Le capacità si inaridiscono, la produzione perde competitività, il benessere imbocca la strada di una diminuzione senza soste. La popolazione decresce costantemente, le risse tra le corporazioni divengono al calor bianco, la società civile si riempie di disperati.
Non sai se gioirne o rattristartene. Il popolo non ha avuto la forza di far fuori le oligarchie, di liberarsi della nomenclatura. Tutti i dottor Bicale, da posizioni di rendita deresponsabilizzate, continuano a sperperare risorse e cervelli. Chiusi nelle loro ottusità, sensibili solo al loro tornaconto, l’hanno avuta vinta sul popolo rincoglionito da paillettes e cotillons. Tant’è.
L’intellettuale che è in te si sente gratificato dalla conferma di averci visto lungo, l’uomo si sente rattristato dal dolore che vede dilatarsi maledettamente, senza limiti.
Avresti voluto dare asilo nella tua comunità a tutti coloro che l’avessero richiesto e nei primi anni l’hai fatto. Poi hai dovuto convincerti con rammarico che non era possibile, che avresti condannato la comunità al disfacimento, senza giovamento per nessuno. Ti ha fatto male rifiutare richieste di asilo, ma non hai avuto scelta. Solo di fronte ai casi più disperati non hai mai chiuso la porta.
Rosina è la roccia sulla quale confidi. La sua imperturbabile serenità, quell’operosità inarrestabile ti da sicurezza. Riposi le notti al suo fianco e ti svegli al mattino sempre pronto a continuare la sfida.
Tre figli avete avuto mica uno, e Rosina, già incinta del quarto, è rimasta uguale a se stessa. Con il denaro ha chiuso, non lo usa e non lo desidera. Ha le sue cose da fare, la casa da curare, te da amare e i figli da crescere.
Dopo Libero è venuta Barbara. Dopo Barbara, Ercole. Dopo Ercole, se sarà femmina Fabiola; se maschio Francesco. Avevate rinviato l’appuntamento con questo nome, per via della dottoressa. Non volevate fosse interpretato come omaggio banale alla sua dolcezza, ma con l’avvicinarsi del quarto avete capitolato; troppo forte il richiamo di Francesco da Assisi, del suo esempio, della sua storia.
Anche perché la fertilità di Rosina non è mica scontata all’infinito. Potrebbe scomparire nel nulla, rifugiarsi in qualche meandro nascosto e inaccessibile. Senza preavviso, semplicemente, naturalmente. Quattro figli ha regalato, e poi? Potrebbe svanire senza dare più segno. Ma non ne avreste rimpianto, la vostra voglia di paternità e maternità è stata appagata. Non più impegnati ad aprire il cuore a nuove vite, volgereste l’attenzione alla crescita di quelle già messe al mondo. Sarebbe bello e necessario, ad esempio, organizzare una scuola per i bambini e i ragazzi della comunità.